OSSERVATORIO “Se si dovessero studiare tutte le leggi non rimarrebbe il tempo di trasgredirle”
(Goethe)

L'estinzione del delitto nei 5 anni dall'irrevocabilità del patteggiamento riguarda anche la recidiva

ufficiale e lesioni personali aggravate, in relazione ai quali erano state riconosciute le attenuanti generiche, valutate equivalenti alla recidiva, la Corte di Cassazione -nell'accogliere la tesi difensiva che contestava l'aver il giudice indebitamente fatto luogo a giudizio di equivalenza, nonostante che gli effetti penali derivanti dall'unico precedente penale a carico dell'imputato dovessero essere considerati estinti, per effetto del decorso di cinque anni dalla irrevocabilità della relativa sentenza, anche in tal caso emessa ai sensi dell'-, ha affermato, con, il principio secondo cui il decorso del quinquennio dal passaggio in giudicato della sentenza di applicazione della pena comporta l'estinzione del relativo reato e dei connessi effetti penali (ivi compresa, pertanto, la rilevanza dell'illecito ai fini della contestazione della recidiva), precisando che tali conseguenze si producono ipso iure, senza necessità di una formale declaratoria in tal senso da parte del giudice dell'esecuzione.

 

Prima di soffermarci sulla, interessante, pronuncia resa dalla Suprema Corte, è opportuno qui ricordare che l'art. 445 c.p.p., sotto la rubrica «Effetti dell'applicazione della pena su richiesta», per quanto qui di interesse, stabilisce al comma 2 che "Il reato è estinto, ove sia stata irrogata una pena detentiva non superiore a due anni soli o congiunti a pena pecuniaria, se nel termine di cinque anni, quando la sentenza concerne un delitto, ovvero di due anni, quando la sentenza concerne una contravvenzione, l'imputato non commette un delitto ovvero una contravvenzione della stessa indole. In questo caso si estingue ogni effetto penale, e se è stata applicata una pena pecuniaria o una sanzione sostitutiva, l'applicazione non è comunque di ostacolo alla concessione di una successiva sospensione condizionale della pena".
 

L'estinzione del reato prevista dall'art. 445, comma 2, c.p.p., si caratterizza, rispetto agli altri incentivi tendenti a favorire la scelta del rito speciale, per il differimento nel tempo della componente premiale, maturando dopo due o cinque anni dalla sentenza, a seconda che si tratti di contravvenzione o di delitto (sul punto v. C., Sez. I, 27 ottobre 2006, R., in Mass. Uff., 235167; C., Sez. IV, 27 febbraio 2002, G., in DeG, 2002, 17, 75; C., Sez. IV, 9 marzo 2001, S., in Mass. Uff., 219577; C., Sez. II, 22 ottobre 1999, D.R., in ANPP, 2000, 306). Tale peculiarità assolve ad una funzione specialpreventiva perché induce il condannato ad astenersi dalla commissione di ulteriori reati della stessa indole, essendo questa la condizione per il completamento del corredo premiale abbinato al patteggiamento. All'estinzione del reato si accompagnano, infatti, gli ulteriori premi rappresentati dall'eliminazione di ogni effetto penale e dalla possibilità di fruire della sospensione condizionale della pena oltre i limiti previstidall' qualora sia stata applicata una pena pecuniaria o una sanzione sostitutiva (da ultimo, C., Sez. Unite, 22 novembre 2000, Sormani, in CP, 2001, 2998, con nota di Carcano).

 

Il termine quinquennale ai fini dell'eventuale dichiarazione di estinzione del delitto, oggetto di una sentenza di applicazione di pena su richiesta delle parti, decorre dalla data del passaggio in giudicato della sentenza (, in CP, 2010, 6, 2342); la giurisprudenza di legittimità ha anche puntualizzato che nel caso di annullamento parziale con rinvio, da parte della Corte di Cassazione, di una sentenza di applicazione di pena limitatamente alla omessa applicazione della sanzione amministrativa accessoria, il termine quinquennale non inizia a decorrere (C., Sez. IV, 9 marzo 2001, S., in CED Cassazione, 219577). Sempre con riferimento alla esatta individuazione del dies a quo dal quale computare il decorso del tempo ai fini dell'estinzione del reato, si è sostenuto che quando più reati, per i quali sono state emesse diverse sentenze di applicazione di pena, vengono unificati in executivis nel vincolo della continuazione, il termine di estinzione previsto dall', decorre nuovamente per tutti i reati dalla data in cui è divenuta irrevocabile l'ultima sentenza (, in CED Cassazione, 2008).

 

Nell'ottica degli effetti penali che cessano a seguito dell'estinzione del reato oggetto di sentenza irrevocabile di patteggiamento, si è anche precisato che, tra gli stessi, non rientra il carattere ostativo del reato stesso, pur dichiarato estinto, alla declaratoria di estinzione, per lo stesso motivo, di un altro reato, se commesso precedentemente nei termini fissati dall', (, in CP, 2009, 6, 2513, con nota di Andreazza: gli effetti "a ritroso" sui reati antecedentemente commessi della estinzione del reato patteggiato per decorso del tempo).

Si è ritenuto che non rientri nell'ambito degli effetti penali della condanna, eliminabili a norma dell' quello dell'iscrizione della sentenza nel casellario giudiziale, da un lato, perché l'iscrizione stessa sarebbe priva di contenuto sanzionatorio (C., Sez. VI, 4 maggio 2000, Carrozza, in ANPP, 2001, 57; C., Sez. VI, 30 gennaio 1997, Lacagnina, in CP, 1998, 2677) e, da un altro lato, perché l'equiparazione della sentenza di patteggiamento ad una pronuncia di condanna non ne elimina le differenze ontologiche (C., Sez. VI, 4 novembre 1997, P., in CP, 1999, 246).

 

L'equiparazione della sentenza di applicazione della pena su richiesta ad una pronuncia di condanna determina la revocabilità del provvedimento di sostituzione di altra precedente pena, ai sensi dell'art. , , qualora sia stata disposta l'applicazione di pena detentiva per reato commesso successivamente (C., Sez. IV, 1 dicembre 2004, T., in Mass. Uff., 231827; C., Sez. I, 17 gennaio 1997, L., in CP, 1998, 204).

 

Sempre in virtù della predetta equiparazione, della sentenza di applicazione pena si deve tener conto ai fini della dichiarazione di abitualità nel reato di cui all' (C., Sez. II, 18 ottobre 2005, O., in Mass. Uff., 232695). La sentenza di patteggiamento non consente, invece, la revoca dell'indulto, avendo la Suprema Corte sottolineato, avuto riguardo all'ipotesi disciplinata dall'art. , , che detta revoca è collegata alla commissione di un delitto non colposo, elemento non accertabile se non a seguito di una plena cognitio (C., Sez. I, 3 dicembre 1998, C., in Mass. Uff., 212306; C., Sez. I, 14 marzo 1997, R.P., in CP, 1998, 2677).

 

L'equiparazione della sentenza emessa ai sensi dell', alla pronuncia di condanna non opera neppure con riferimento all'istituto della riabilitazione, non potendosi considerare "condannato" il soggetto giudicato con il rito speciale; conseguentemente, l'istanza da questi presentata per l'ottenimento del beneficio va dichiarata inammissibile (C., Sez. I, 15 ottobre 2004, D.V., in Mass. Uff., 230072; C., Sez. V, 31 gennaio 2000, C., in CP, 2001, 1221). Secondo una difforme pronuncia (C., Sez. I, 11 luglio-17 luglio 2007, X., in Mass. Uff., 237631) la riabilitazione opererebbe anche con riferimento alla sentenza di applicazione della pena su richiesta, in quanto, ai sensi , come modificato dall'art. ,  il termine minimo per chiedere la riabilitazione è di tre anni dal giorno in cui la pena principale è stata eseguita o si è in altro modo estinta; in buona sostanza, nelle more, il condannato potrebbe avere interesse ad ottenere la riabilitazione prima che maturi in termine di cinque anni previsto dall', per l'estinzione del delitto. Peraltro, l'attuale formulazione dell', novellato dalla , circoscrive la portata dei benefici premiali ivi codificati esclusivamente alle fattispecie di sentenza di condanna ad una pena concordata non superiore ai due anni, precludendone l'operatività nelle ipotesi di sanzione patteggiata di entità superiore.

 

Tanto premesso, nel caso in esame, la difesa aveva censurato la sentenza di patteggiamento per aver indebitamente fatto luogo a giudizio di valenza, nonostante che gli effetti penali derivanti dall'unico precedente penale a carico dell'imputato dovessero essere considerati estinti, per effetto del decorso di cinque anni dalla irrevocabilità della relativa sentenza, anche in tal caso emessa ai sensi dell' del codice di rito. Donde l'erronea contestazione della recidiva e, per l'effetto, l'erronea qualificazione giuridica del fatto, da ritenersi estesa alle circostanze, come tale suscettibile di essere sottoposta al controllo del giudice di legittimità.

 

La Cassazione ha ritenuto il ricorso fondato. Invero, è fuor di dubbio che, nella vicenda in esame, concernente fatti posti in essere il 6 maggio 2014, il decorso del quinquennio dal passaggio in giudicato (30 ottobre 2007) dell'unico precedente esistente a carico dell'imputato, costituito dalla sentenza di applicazione della pena emessa il 28 settembre 2007, ha comportato l'estinzione del relativo reato e dei connessi effetti penali, ivi compresa, pertanto, la rilevanza dell'illecito ai fini della contestazione della recidiva (cfr., esattamente in termini  - dep. 2013, in CED Cass., n. 254742). E può parimenti convenirsi, secondo la Cassazione, sull'assunto che tali conseguenze si producono ipso iure, senza necessità di una formale declaratoria in tal senso da parte del giudice dell'esecuzione (cfr., da ultimo,  - dep. 2015, in CED Cass., n. 263503).

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